La storia e la figura di san Francesco d’Assisi è nota in tutto il mondo.
Figlio di un ricco mercante di stoffe, nacque ad Assisi nel 1182 e morì nel 1226. Istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale, condusse da giovane una vita spensierata e mondana.
Si convertì nel 1205 alla vita cristiana ed un giorno, il Crocefisso di una chiesa diroccata, gli parlò e gli chiese di restaurare la chiesa a lui dedicata. Francesco da quel momento cominciò a impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina e dedicò tutto sé stesso alla cura dei poveri e dei lebbrosi nei boschi del monte Subasio. Con un piccolo nucleo di seguaci comincia a predicare il Vangelo in assoluta povertà.
Questa scelta – ovviamente – non fu accolta con salti di gioia dal padre di Francesco, che infatti lo diseredò.
Francesco allora nella piazza di Assisi – con un vero “coup de théâtre” – si spogliò materialmente dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi.
Nel settembre 1224, si ritirò sul monte de “la Verna”, e dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione.
Fin qui le note biografiche, ma san Francesco non era solo questo.
Basta aprire un qualsiasi libro di letteratura italiana per sapere che tra i primi testi di lingua Italiana, il più importante per qualità letteraria e per significato storico, è riconosciuto proprio il suo “Laudes Creaturarum”ovvero “Lodi delle Creature” noto anche come “Il cantico di frate Sole” col quale Francesco esprime la sua lode al Signore per tutte le sue creature: il sole, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la terra, gli uomini virtuosi, e perfino la stessa “morte corporale“, distinta da quella “morte secunda“, la morte dell’anima, che non ha potere su chi rispetta le “sanctissime voluntati” di Dio.
Il cantico viene considerato subito come un primissimo esempio di “volgare illustre” intendendo per illustre il prestigio.
Dante Alighieri nella sua Divina Commedia “incontra” anche san Francesco (Canto XI – ovviamente – del Paradiso) nel cerchio degli spiriti sapienti dove è presente anche Tommaso d’Aquino. È proprio a quest’ultimo che Dante fa proferire un elogio profondo di Francesco.
Ecco che quindi possiamo dire che san Francesco, oltre che patrono d’Italia, è anche il primo vero autore della storia della letteratura Italiana.
Quindi, Francesco, non solo come santo, ma anche letterato. Con buona pace di chi ritiene che per S. Francesco “lo studio e la vita intellettuale fosse pericoloso per l’umiltà e la semplicità”. Nulla di tutto ciò. E che lo studio non fosse incompatibile con lo spirito del francescanesimo lo avrebbe dimostrato benissimo un suo fedele discepolo, San Bonaventura
E perché non aggiungere, poi, anche la veste di filosofo? Ha vissuto da anticonformista, ha predicato una sua concezione della vita va al di là di un semplice atteggiamento religioso, si può tranquillamente definire una vera e propria filosofia e messo per iscritto le sue idee ed ha avuto numerosi discepoli!
Poi, a ben pensare, San Francesco è anche stato un “opinion-maker”: andò – a testa bassa – contro le convenzioni sociali del tempo, spogliandosi (scandalizzando i benpensanti) davanti al padre Pietro e al Vescovo di Assisi.
San Francesco ha una grandissima dote: appare “simpatico” anche presso chi non crede. Anche gli agnostici, atei, indecisi sentono il “profumo” spirituale ad Assisi.
E infatti spesso viene “tirato per la giacchetta”… pardon, “per il saio” anche da non cristiani fraintendendo alcuni insegnamenti.
Ad esempio, S.Francesco ci viene presentato come un ecologista ante litteram. Ma in lui c’è l’amore per la natura come “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”, e questo suo amore per la natura è riconducibile al suo amore per Dio Creatore di tutto come ci testimonia nel Cantico delle Creature: vede nella natura un segno della bontà e dello splendore della Presenza del Mistero. Ecco la differenza rispetto a chi “deifica” la natura!
E San Francesco-animalista «per la predica agli uccelli e il lupo di Gubbio»? Anche qui ci ricolleghiamo alla lode della Gloria del Mistero e il lupo di Gubbio viene affrontato “allegoricamente” senza paura solo ed esclusivamente in virtù della fede, che fa riconoscere nella natura un segno di Altro.
Poi san Francesco c’è definito pacifista ante-litteramtendente ad un “ecumenismo irenista e sincretista”, quasi quasi Gandhiano invocandone lo spirito di umiltà distante dalle dispute e propenso alla arrendevolezza.
Ecco un altro mito da sfatare. Che tale interpretazione della figura e del pensiero di S. Francesco sia falsa, appare dalla passione missionaria del Santo di Assisi, che rischiò la vita pur di andare in Oriente a convertire i Saraceni! Svolse presso il “Soldano” (ovvero il “feroce Saladino“) un’accorata opera di testimonianza. E troviamo conferma di ciò nel resoconto nelle prime fonti francescane
Potremmo addirittura dire che, quello di convertire i mussulmani fu “un suo chiodo fisso”, infatti la storia del francescanesimo è disseminata di martiri in terra islamica ad esempio in Marocco, tra il 1220 ed il 1226. Tra i quali anche il fraticello sassarese Francesco Zirano, proclamato beato. Altro che ecumenismo e arrendevolezza!
Vi è poi chi pensa che il santo di Assisi abbia nutrito un ascetismo, un disprezzo per la corporeità, vista come causa di peccato, visto che chiamava il proprio corpo “frate asino” e lo sottoponeva a grandi sacrifici e sofferenze, o il fatto di dormire sulla nuda terra o sulla pietra. Aggiungiamo poi tra dei suoi discepoli Jacopone da Todi che nel componimento “O Segnor per cortesia/ manname la malsania”, chiede di essere colpito da Dio con ogni sorta di malattia.
Non si può escludere una certa “contaminazione”platonica, (presente, anche nella cultura agostinista medioevale) a livello di espressione, ma si può dire che l’esperienza di S. Francesco è genuinamente cristiana e non ha implicato alcun disprezzo per la corporeità in quanto tale. Francesco è il cantore della Gloria di Dio attraverso la materialità del creato: il sole, la luna, le stelle, l’aria e le nuvole, il vento, i fiori e l’erba.
Riguardo i sacrifici, non sono certo identificabili come disprezzo nei confronti del proprio corpo bensì con spirito di penitenza.
Francesco sacrifica il proprio corpo per penitenza dei propri peccati, che hanno come radice l’orgoglio, la superbia, e non l’attaccamento al piacere e perché il corpo può, se assecondato troppo, diventare occasione di peccato, un peccato che resta comunque secondario rispetto a quello “spirituale”.
E come dimostrazione che Francesco non disprezzasse affatto il proprio corpo c’è l’episodio in cui, essendo ormai imminente la sua morte, egli chiese a una signora di preparargli dei dolci che gli piacevano molto..