Giù le mani dai giovani arbitri. E’ questione di educazione

Chi decide di fare l’arbitro, oggi parleremo del mondo del calcio, lo fa non solo per il gusto di fischiare falli o assegnare qualche rigore, oppure poter pensare di avere nei cartellini gialli e rossi, un potere decisionale tale da indirizzare il corso di un evento sportivo. Sono ragazzi che, in un evento sportivo,  svolgono quel ruolo che richiede preparazione, sangue freddo, competenza e coraggio nel tentativo di mantenere il gioco equilibrato e rispettoso delle regole.
All’inizio di questo percorso, si è quasi sempre ancora adolescenti con tante ragazze praticanti, nel quale capita di trovarsi  a gestire situazioni dove la pressione (non se ne  capisce onestamente la ragione), è spesso elevata ed esercitata più che da bordo campo, (ma anche lì gli esempi non mancano), quasi sempre dalle tribune occupate da genitori urlanti ed eccitati dai gesti atletici dei loro figli. E dispiace constatarlo, sovente sono i primi ad inveire contro i giovani arbitri che, mossi dalla passione per questo mondo, spesso a subiscono insulti, minacce e, ormai sempre più frequentemente, aggressioni fisiche. Se questi si fermassero poi un attimo a riflettere, capirebbero che uno di quei ragazzi potrebbe essere il loro figlio.

Crediamo davvero che la misura sia colma. L’ultimo episodio, ha visto coinvolto qualche giorno fa, un giovane  arbitro in un campo della periferia siciliana. Dopo quelli già avvenuti in tanti campi soprattutto nel settore giovanile negli anni scorsi, crediamo sia arrivato il momento di mettere una parola fine a questa vergogna ma soprattutto invitare tutti i protagonisti ad una profonda riflessione su ciò che sta accadendo: la violenza contro gli arbitri è diventato un problema che colpisce l’intero sistema sportivo.

E’ necessario intervenire, per non rischiare di scoraggiare le nuove generazioni dall’intraprendere questa strada, privando così le pratiche  sportive  di persone che svolgono un ruolo fondamentale per lo svolgimento regolare di qualsiasi pratica sportiva.
Il percorso deve necessariamente iniziare da un’ opera di sensibilizzazione del problema, ma che non si riduca ad una sterile campagna divulgativa, come tante ne vediamo sui campi di tutto il mondo.

È fondamentale il coinvolgimento di società sportive, allenatori, federazioni, istituzioni e soprattutto famiglie, per creare azioni concrete, con un’unità di intenti, per mettere in campo una vera e propria opera di “rieducazione allo sport”. La finalità deve puntare a creare i campi di calcio, sicuri e rispettosi delle regole, riportando tutti a vedere la pratica sportiva come occasione di crescita personale, umana e rispettosa delle regole, anche degli arbitri indipendentemente dalla loro età o esperienza. Gli allenatori riprendano il ruolo di educatori, con “tra le mani”, un capitale umano composto spesso da adolescenti, al quale va insegnato oltre alla posizione in campo, il rispetto dei ruoli, per i compagni, l’avversari, il  sacrificio per ottenere il posto in squadra e soprattutto  all’educazione alla sconfitta.

Ricordiamo che si è già fatto un tentativo di  inasprimento delle sanzioni nei confronti di chi si “macchia” di azioni violente, soprattutto nei confronti dei giovani arbitri, così da fungere da deterrente per azioni simili.Nei giorni scorsi poi il sito dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri), ha oscurato per protesta la sua pagina web con un’immagine significativa che pubblichiamo.

In conclusione, la violenza contro i ragazzi arbitri è un problema che richiede la nostra attenzione e il nostro impegno. Solo così potremo preservare l’integrità dello sport e garantire un futuro luminoso per le nuove generazioni di arbitri e dello sport.

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