Marco Diana è stato un simbolo per tutti i soldati italiani. Una vita spesa per l’esercito e i suoi commilitoni, anche, se non soprattutto, dopo il suo congedo. Maresciallo dei Granatieri di Sardegna, originario di Villamassargia, il 14 agosto 1998, gli diagnosticarono un calcinoide neuroendocrino dell’ilio metastatico multiplo di classe A dopo la missione in Kosovo, dove venne a contatto con armi che contenevano uranio impoverito. Da quel momento, iniziò il suo travaglio personale, a cui si aggiunse anche la prima chemio che i medici sbagliarono, somministrandogli due dosi e mezzo in più del dovuto, errore che gli causò innumerevoli altri problemi agli organi interni.
Ogni giorno, doveva prendere circa un centinaio di medicine, e qualche anno fa lo Stato, per problemi di mera burocrazia e qualche errore di comunicazione tra gli uffici, lo Stato gli negò il rimborso delle spese mediche, obbligandolo a fare delle visite mediche per certificare la sua malattia, che, però, è dichiarata incurabile dallo Istituto Europeo di Oncologia e nonostante avesse un documento firmato dall’allora ministro della Difesa, Martino, che gli garantiva l’assistenza medica a vita.
Da quel momento iniziò la battaglia per veder garantiti i suoi diritti, ma anche quelli dei suoi commilitoni che hanno e avranno il suo stesso problema. Nel 2013, fu obbligato a vendere la propria casa per potersi pagare le cure e furono in tanti che contribuirono finanziariamente ad aiutarlo.
Malgrado tutto, non smise mai di amare l’Italia e dichiarò che non si è mai pentito di niente, che avrebbe rifatto tutto. È deceduto all’età di 50 anni.