Non siamo più abituati a ricevere una cartolina. Fino a una decina di anni fa era normale che andando in vacanza si spedissero delle cartoline. Ora si mandano freddi e impersonali selfies. E questo mi ha fatto riflettere sul crepaccio che si è creato tra generazioni nell’ambito della comunicazione e soprattutto per ciò che riguarda la trasmissione della sensibilità.
Che emozione! Oggi nella mia cassetta delle lettere ho trovato una cartolina. Ero felice come un bambino quando ho scoperto che non era la solita bolletta da pagare, un volantino o qualcosa del genere. Ma era ancora doppiamente felice perché era la cartolina di una cara amica dalla splendida Umbria.
La giravo tra le mani come un oggetto raro. Non ricordo quando è l’ultima cartolina ricevuta. Che emozione!
Oggi tutti abbiamo sempre fretta, tutto dev’essere velocissimo, immediato, in tempo reale, tutto “fast and smart” come si dice ora! La colonna sonora delle nostre giornate è il “plin plon” delle notifiche dei messaggi che mandiamo e riceviamo freneticamente in un modo esasperato e quasi esasperante. Le nuove generazioni hanno tutto su una “app” sullo smartphone e dovrei spiegare loro che cosa sia una cartolina.
Abbiamo perso il gusto di assaporare il tempo che passa, perché abbiamo paura di “perdere tempo”: vogliamo tutto e subito.
Oramai le cartoline non esistono più, soppiantate da un effimero quanto vano selfie. Che poi dopo pochi giorni cancelleremo!
Fino a qualche decennio fa quando si andava in vacanza (da soli o con la propria famiglia) spedire le cartoline patinate con i propri saluti, ad amici e parenti dai luoghi visitati erano un rito immancabile. E poco importa se quasi sempre arrivavano dopo giorni (o anche dopo settimane) quando la vacanza era finita! Ma era un segno: sono in vacanza e penso ai miei amici!
Pensiamoci bene: per tanti versi questo rito richiedeva anche una certa cura, la scelta di una cartolina quanto più adatta al destinatario, talvolta ironica o più “ufficiale”, poi l’elaborazione di un messaggio che non fosse troppo banale anche se alla fine si arrivava sempre al “tanti saluti da…”. E tutto ciò richiedeva del tempo.
Vi ricordate poi le lettere via posta tradizionale al nostro amico o alla ragazzina conosciuta in spiaggia l’estate precedente? Occorreva sederci, trovare le parole giuste, semmai riscriverla in bella copia se c’erano troppi scarabocchi.
E poi la fremente attesa della risposta e la gioia di trovare una lettera nella cassetta, aprirla e leggere la sua risposta. Volete mettere l’attesa della risposta contando i giorni? Come disse Gotthold Ephraim Lessing “l’attesa del piacere è anch’essa piacere”. La frenesia dei nostri giorni ha cancellato tutto ciò!
E poi le cartoline (quelle provenienti dagli amici speciali) potevi appiccicarle alla scrivania o conservarle e riprenderle e rileggerle dopo anni in mano emozionandoti… Idem per le lettere. Conservate gelosamente in uno scatolone.
Io facevo così e talvolta riaprire quello scatolone è come salire sulla DeLorean DMC-12 del film “Ritorno al futuro” e tornare indietro nel tempo per rivivere esattamente quelle emozioni descritte nella lettera! Le mie poi non erano semplici lettere ma malloppi cartacei di almeno 5 o 6 facciate.
Ora invece comunichiamo su Instagram con qualche stories o mandando le foto via Whatsapp ad amici e parenti! Le stesse foto mandate poi a decine di persone. Tutte uguali. Tutte con la stessa frase!
In un paio di secondi è presto fatto e al massimo in cambio riceveremo qualche “like”. Pochi secondi per inviarlo e pochi secondi per leggerlo per poi cadere nell’oblio eterno più squallido privandoci delle nostre emozioni!
A questo proposito mi è venuta alla mente una storiella.
Un giorno un signore arrivò in un paese sconosciuto e chiese ad un bambino che giocava per strada di indicargli come raggiungere la piazza del paese dove aveva un importante appuntamento. Il bimbo disse «seguimi, ti accompagno!». Camminarono per oltre 20 minuti passando in molte vie del paese e alla fine arrivarono finalmente a destinazione. Il signore ringraziò il bambino gli diede i soldi per un gelato e si diresse all’appuntamento consapevole di arrivare in fortissimo ritardo.
Per puro caso parlando con altri partecipanti alla riunione scoprì che era possibile arrivare in pochissimi minuti alla piazza in un modo molto più diretto.
Qualche giorno dopo quello stesso signore, incontrò ancora quel bambino che lo guidò il primo giorno e gli chiese come mai gli avesse fatto girare mezzo paese per arrivare in piazza.
Il bambino allargando le braccia rispose sorridente «beh … lei mi ha chiesto quale fosse la via “migliore” per arrivare alla piazza del paese non quella più breve. Ed io l’ho fatta passare nelle zone più emozionanti per farle conoscere il mio bellissimo paese. Si ricorda? Siamo passati su quel promontorio da dove si vedeva un bellissimo panorama dall’alto, poi siamo passati davanti a quella chiesa antica. Ricorda, sì? Poi le ho fatto vedere la statua del santo patrono che è molto famosa perché l’ha scolpita uno scultore importante che però non ricordo…. Beh percorrendo la via più breve non avrebbe visto nulla di tutto ciò!».
La morale della storia è molto semplice: siamo ossessionati dalla frenesia quotidiana che ci fa confondere ciò che è più veloce con quello che è migliore.
E la fretta è la peggior nemica della qualità.
I Latini ancora una volta ci insegnano qualcosa! Svetonio riferisce una frase dell’imperatore Augusto densa di saggezza: “Festina Lente” cioè affrettati lentamente! E noi abbiamo sempre fretta!
Poi vogliamo parlare di come il lessico si stia impoverendo. Siamo talmente abituati a comunicare i nostri stati d’animo per mezzo di emoji che non siamo più in grado di descriverli a parole. E non descrivendoli, quindi, non siamo nemmeno più allenati a riconoscere le emozioni e i nostri stati d’animo e neppure a saperli affrontare.
Un vero genio della comunicazione Marshall McLuhan sosteneva che “Il medium è il messaggio” vale a dire che il messaggio ed il mezzo con cui possiamo trasmetterlo sono una cosa sola, o perlomeno, si influenzano in un modo profondissimo.
Le nuove tecnologie avrebbero dovuto aiutarci a trasmettere e divulgare le emozioni e i pensieri in modo più semplice ma paradossalmente hanno invece ostacolato questa trasmissione! La televisione prima e poi internet ha dato accesso alla possibilità di raccontare le nostre storie, nei modi e tempi più vicini al nostro essere, ma pretendiamo di farlo velocemente!
Ma dobbiamo ritornare alla domanda di tutte le domande: perché sentiamo il bisogno di raccontarci, di leggere, di guardare o ascoltare storie narrate?
Credo che i racconti ci aiutino a dare senso alla nostra esperienza, ai nostri vissuti, a rileggere le nostre emozioni. Il racconto delle nostre esperienze definisce non solo chi siamo, nel senso più riflessivo e profondo, ma ha anche un’importante funzione sociale perché ci permette di comprendere e comunicare con gli altri, facilitando anche una lettura e una narrazione condivisa del mondo circostante. I racconti ci aiutano a ricordare, a riscrivere, ad esplorare il mondo, a definire valori, rileggere avvenimenti, attribuire un significato all’esperienza.
Sia chiaro che non mi sto affatto opponendo alla velocità della tecnologia, ma vorrei solo invitarvi a non lasciarci fagocitare dalla frenesia o dal “logorio della vita moderna” come diceva uno spot di un noto amaro… cinquant’anni fa!
Volete un esempio? Quando viaggiamo in navigatore ci porta esattamente nel punto in cui noi abbiamo programmato. Quasi fossimo un cyborg. È vero che arriviamo prima (ma attenti… anche i navigatori sbagliano!) ma volete mettere il piacere di fermarsi in un paesino sperduto e chiedere «…mi scusi buon uomo, per andare a …. Questa strada è giusta?». Ci stiamo privando delle relazioni umane!!
Una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense, Hannah Arendt ci ha lasciato detto che «la narrazione rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi».
Quando scriviamo, ascoltiamo o guardiamo una storia, in qualche modo quello che ci colpisce è sempre qualcosa che ci riguarda, che parla di noi, che ci aiuta a dare significato alle nostre emozioni e vissuti, a riguardare la nostra esperienza da distante, a dare un senso e un ordine, ma non possiamo che osservarlo dal nostro punto di vista e con il nostro sguardo.
Oggi, siamo sommersi da storie, che però sono evanescenti ed effimere. La vera sfida educativa è quella di insegnare a raccontare storie che ci permettono di fare vedere quella parte del mondo che ancora non conosciamo.
Ben venga quindi una mail per tenerci in contatto con un amico in Nuova Zelanda o un WhatsApp per metterci d’accordo per incontrarci, ma non perdiamo mai la gioia di esprimere i sentimenti. Con calma.
E buona festa dell’Assunta a tutti i lettori del Tamburino